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La Nord del Pizzo d’Uccello

L’estate avanza, le giornate sono lunghe e calde, quale periodo migliore per affrontare una parete Nord?

Nel cassetto delle vie classiche da fare almeno una volta nella vita c’è la via probabilmente più famosa delle Alpi Apuane, la Oppio-Colnaghi sulla parete Nord del Pizzo d’Uccello.

Come sempre insieme al fidato Paolo, partiamo una sera e andiamo a dormire dove inizia il sentiero per raggiungere l’attacco della via e, dopo una notte non troppo lunga, raggiungiamo la parete.

La Nord vista dall’inizio della ferrata.

La via è molto lunga, se la si arrampica tutta a tiri se ne contano 19 totali, ma ha anche lunghi tratti che possono essere percorsi in conserva con le giuste precauzioni (se si esce anche poco dalla linea classica, la parete può diventare moooolto instabile!)

Le difficoltà non sono mai elevate, ma i tiri di V+ classico non sono mai da sottovalutare e le protezioni scarseggiano! Oltretutto non è sempre facile integrare.

Una delle caratteristiche che ha reso famosa questa via sono le due scritte “comuniste” che si incontrano in due delle soste, più o meno a metà parete: chissà chi si sarà preso la briga negli anni di andarle a piazzare proprio lì!

Lotta Continua…

Potere alle masse…

Nel complesso la via si svolge prevalentemente dentro camini o pseudo tali, come ovvio considerando l’anno in cui fu salita la prima volta da Oppio e Colnaghi, il 1940!

Paolo in uscita da uno dei camini

Quando arriviamo in cima siamo soddisfatti e… accaldati! Ebbene sì, come intuibile, vista la zona e la relativa bassa quota (la vetta del Pizzo d’Uccello è a 1781 mslm), è una Nord che non lascia un ricordo da Nord Alpina, infatti l’abbiamo scalata tutta in maglietta e, le poche volte che il sole ci colpiva di traverso, ci riparavamo subito all’ombra alla ricerca di refrigerio!

In Vetta!

La via è sicuramente meritevole, sia per il valore storico che rappresenta, sia per la bellezza dei panorami e per la solitudine con la quale la si scala!

La Cittadella

30/09/2023

Ultimo sabato prima del corso di arrampicata libera che inizierà domani (che bello, non vediamo l’ora, sarà la solita esperienza bellissima con nuovi allievi entusiasti di imparare): potremmo passarlo con qualcosa di rilassante? Nah, meglio una sveglia antelucana e una bella giornata di ravanage!

Mi faccio convincere (abbastanza facilmente, lo ammetto) da Paolo e Francesco ad andare a cercare la via dello Sperone Nord alla Cresta della Cittadella, al fondo della Val Grande di Lanzo.

Eviterò una relazione dettagliata (peraltro praticamente impossibile da scrivere in modo esaustivo), visto che quelle che si trovano già su Internet sono praticamente il meglio che si può scrivere a riguardo, e mi limiterò a confermare quello che si sa della via: è un ravano totale!

La via di per sé è molto bella (10 tiri praticamente completamente da proteggere, soste comprese, seguendo diedri fessure e placche, mai banale ma mai estrema (un singolo tiro di 6a ed un altro di 5c+ che gli assomiglia molto), ma la vera avventura è trovarla!

Noi ci siamo persi più e più volte, sia all’andata per trovare l’attacco, sia nella discesa dalla cima per tornare agli zaini, sia per tornare da lì all’auto! Il riassunto è: rododendri, ontani, rododendri, lamponaie, rododendri e anche qualche rododendro! Probabilmente avremmo dovuto fare come Pollicino e lasciare una traccia almeno per il rientro da base parete al Santuario, ma essendoci persi già in salita non so quanto sarebbe stato fattibile! Ma in fondo è anche questo che ha reso questa giornata (durata circa 12h auto-auto) una vera avventura!

Bravi e grazie a Paolo e a Francesco che hanno diviso con me oneri e onori di questa giornata!

E per fortuna domani torniamo agli spit in falesia per un po’ di relax 🙂

Come sempre… ci prepariamo al parcheggio!

Fino al Santuario… unica parte facile della gita!

Paolo si avventura in uno dei primi diedri.

Io che cerco di capire quanto manca alla fine della via (molto!).

Noi che ci concediamo un selfie ad una sosta!

Una sosta, quasi una Raumer omologata!

Paolo sul passo chiave del diedro di 6a.

e Paolo che ne è uscito egregiamente.

Un quasi fittone resinato (uno dei pochi incontrati lungo la via).

Francesco fotografa me e Paolo mentre scala!

Paolo cerca la via!

Cambio comando a metà via (vado io sul diedro di 5c+).

Paolo sul passo chiave del diedro,

Un’altra sosta montata a regola d’arte!

Paolo che arriva in sosta sul penultimo tiro!

E che incredibilmente ce la fa!

Io a fine via che recupero Paolo e Francesco che stanno ravanando nei rododendri che ci hanno accolti sull’ultimo tiro!

Noi tre che iniziamo la discesa, senza saper ancora cosa ci aspetta!

Traversata Provenzale Castello

Weekend 15-16 Luglio 2023

Dopo un po’ di weekend con salite impegnative, decido di passare un weekend rilassante, così accetto l’invito di Elisa di unirmi a lei, Francesco e Cecilia per fare “due vie facili” in zona Provenzale-Castello, con serata e nottata in campeggio.

Mi sembra un’ottima idea, ottima compagnia e salite facili.

Il sabato mattina partiamo presto e, arrivati non troppo tardi a Chiappera, ci avviciniamo alla Rocca Provenzale e scaliamo in due cordate la facile ma bella via “Danza Provenzale”.

La Rocca

Elisa che Danza

Danza anche Cecilia

Arrivati alla cima della via, la quale interseca la normale alla Rocca Provenzale, Elisa se ne esce con “la traversata Provenzale-Castello è proprio una salita che mi piacerebbe fare!”. Detto fatto, Francesco coglie la palla al balzo e dice “perché no? approfittiamo che c’è Daniele e la facciamo in due cordate domani!!”. Ovviamente dico subito di sì e addio weekend rilassante 🙂

La discesa, con il pensiero rivolto al giorno dopo

La serata scorre piacevole, anche grazie alla compagnia di Rosy e Manu, che stanno passando un weekend di passeggiate lì in zona. Decidiamo orario di partenza, materiale e compagnia cantante e ce ne andiamo a dormire.

Che bel gruppo!

Mattina con sveglia presto e attacco della normale della Provenzale alle prime luci, la saliamo in relativa velocità (lungo la via si trova solo un passo facile su uno strapiombino, per il resto al massimo sono passi di II).

Verso la cima della Provenzale

Arriviamo in cima e ce la godiamo per qualche minuto, prima di calarci alla forcella che porta alla cresta Figari, la quale a sua volta unisce la Provenzale alla Castello (Torre): la cresta è bella e non troppo difficile, ma molto affilata ed estetica, e ci permette di arrivare abbastanza rapidamente sotto la Torre Castello, al cospetto dell’attacco della via Castiglioni!

Sulla Figari… la Castello ci aspetta!

Questa è la parte impegnativa di tutta la traversata, la attacchiamo decisi ma non senza qualche timore di fronte alla chiodatura lunga (dove non possibile integrare con friend o nut), ma ce la caviamo bene, Francesco, Elisa e Cecilia mi seguono veloci e in poco tempo (anche se a qualcuno è sembrato molto tempo :)) raggiungiamo il pianoro sommitale della Torre: che soddisfazione e che vista da lassù! Ci godiamo per un po’ il posto, poi con una doppia ci caliamo alla forcella tra la Torre e la Rocca, raggiungiamo quest’ultima con un facile ma bel tiro in un diedro rotto.

La Traversata è completata e non ci resta che fare un po’ di doppie per tornare a terra!

Il weekend di relax si è trasformato in una bellissima avventura con amici e amiche di gran compagnia, perché mica vogliamo solo soffrire!

Finalmente il GranCap!

Io sognavo di raggiungere la vetta del Grand Capucin, uno dei Satelliti del Monte Bianco più famosi e temuti, da tanti anni, mentre Paolo sognava di raggiungere nuovamente la stessa cima (l’aveva già raggiunta dalla Via degli Svizzeri) dalla blasonata Via Bonatti-Ghigo, la prima salita dal mitico Walter sull’imperiosa parete Est!

Così decidiamo di provarci, peraltro come prima via in alta montagna della stagione, e come prima opzione pensiamo di salire al Torino il venerdì pomeriggio, salire la via il sabato, dormire ancora in quota e scendere domenica. Purtroppo un inconveniente lavorativo ci impedisce di salire il venerdì, così facciamo la follia di partire sabato mattina con la prima funivia e tentarla così.

Ma ovviamente abbiamo fatto il passo più lungo della gamba e, nel tardo pomeriggio, ci troviamo sotto il muro di 40 metri di 7a, che peraltro è completamente bagnato (più che altro è una cascata!), così in modo un po’ avventuroso disarrampichiamo l’ultimo tiro salito (il 6c di fessurino in traverso) e scendiamo, per evitare di farci sorprendere in parete dal buio! Scelta che si rivela saggia! Passiamo la notte al Torino (vecchio! il nuovo era pieno!) e al mattino saliamo la Bettembourg al Pic Adolphe (avevamo deciso di fare una via facile vista la stanchezza, e la scelta era caduta su Lifting du Roi al Roi de Siamo, ma c’era una gran coda, così…).

Settimana dopo, Paolo mi chiama e mi dice “ora la conosciamo fino a metà, saremo più veloci fino lì, facciamo in artif il muro bagnato e per la sera scendiamo”, io titubo un po’ ma poi mi faccio convincere, ma a condizione di salire la sera, dormire su (in tenda sul ghiacciaio), farla dormire di nuovo in tenda e scendere con comodo il giorno ancora seguente! E così è, si parte il sabato pomeriggio, notte bellissima in tenda sotto il GranCap, e al mattino attacchiamo alle prime luci.

Risaliamo velocemente lo zoccolo, seguendo delle cenge verso sinistra (il canale usato originariamente da Walter non è più salibile in sicurezza in questa stagione), e alle 8 siamo sulle Terrazze Bonatti sotto l’attacco del primo tiro!

Come previsto da Paolo saliamo velocemente i tiri già saliti la volta precedente, diedri e fessure bellissimi, saliti in libera fino al 6b, poi il famigerato fessurino di 6c in traverso verso destra seguito dal muro di 40 metri, sempre bagnato (saliti entrambi in artif con uso di staffe, per velocizzare la progressione).

Da quel momento ci muoviamo su terreno a noi sconosciuto, ma, un po’ in libera un po’ in artif, raggiungiamo la vetta nemmeno troppo tardi, nonostante la mia notevole fatica e i crampi del povero Paolo che ha dovuto tirare da primo gli ultimi tiri (la via è davvero molto fisica, e scalarne tratti in artif non rende la fatica minore!).

Poi doppie “veloci” (in realtà ne sbagliamo una e dobbiamo superare uno strapiombo in discesa), e prima del buio siamo di nuovo in tenda, una bella cena ristoratrice sul fornello e poi un meritato riposo!

La soddisfazione di aver seguito le orme di uno dei più grandi alpinisti di sempre si  legge ancora nei nostri occhi mentre scendiamo con la funivia!

Grazie a Walter per averci aperto tante e tante vie e grazie a Paolo per la sua affidabilità e tenacia!

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Bonatti al Grand Capucin

Da Capo Uomo a Gaeta

Un inizio di gennaio 2015 particolarmente freddo, un viaggio particolarmente lungo, un incontro di amici di diversa provenienza (Torino, Genova, Piacenza) in un luogo spesso strafrequentato dai Romani: Sperlonga (Latina).  Per spezzare il viaggio io e Carla facciamo tappa ad Orbetello e scaliamo la parete solare di  CAPO D’UOMO sull’ Argentario. Magnifico calcare grigio verticale a poco meno di un ora di marcia fra vegetazione mediterranea e panorama delizioso. Torneremo per le vie lunghe ma anche per il gentile signore del B&B Alice e l’indimenticabile mangiata di pesce alla Rosa dei Venti. Arrivati a Sperlonga la sorpresa: la strada che collega Sperlonga a Gaeta e’ chiusa per una recente frana di grossi massi! Risultato un po meno gente. Ma la guida dei luoghi e’ comunque già esaurita. Da Guido il Mozzarellaro troviamo la relazione per nuovi luoghi:  settore Eldorado del MONTE MONETA, raro esempio di roccia strapiombante e aderente in un mondo di placche con reglette. Dopo giorni di sole e vento, dopo un temporale notturno con un fiume d’acqua che scendeva sulle ripide strade di selciato marmoreo che scendono al mare; ecco finalmente un giorno di mare calmo e l’occasione di calarsi sull’acqua dall’inquietante (almeno per chi non la conosce) parete di MONTAGNA SPACCATA di Gaeta. E’ lunedi’ e sulla roccia ci siamo solo noi due, da non credere! alcuni giovani di Vicenza senza relazione non si osano (gli regalerò le mie fotocopie). E’ da quando leggevo i “100 nuovi Mattini” di Alessandro Gogna che speravo di andarci una volta, ma non pensavo di fare qui il battesimo della prima via lunga dopo l’intervento di blocco totale della caviglia (artrodesi)! Fatte le 4 calate siamo a 5 metri sopra l’acqua; lasciamo sulla destra la storica via dello Spigolo (5c) e la moderna Croce del Sud (6a+), per addentrarci con un traverso nel mondo di camini e torrioni staccati della via Beatrice (5b con un tratto di 5c). La roccia risente della salsedine, ma la chiodatura e’ stata rinnovata, almeno nei primi tiri, salendo in spaccata il caminone finale con il mare blu sotto le gambe sono emozionato. In cima foto d’obbligo con maglietta di ringraziamento a patologia-arrampicatoria.it che mi aveva incoraggiato prima del riuscito intervento: <2015 l’anno del ritorno!>

Silvio Tosetti,  2-6 gennaio 2015

Rocca la Meja – Eppure il Vento soffia ancora

EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA

S. Aragno, M. Bernini, M. Piras nel luglio 2012

300m; 6c/6c+; 6b obbl. S3+ per la parte bassa; S3 per quella alta

La Via parte dallo zoccolo sotto la cengia della Normale per seguire poi fedelmente il pilastro a Dx di quello di “31anni e non sentirli” e si sviluppa tra placche, muri verticali, fessure e diedri.

Itinerario a tratti piuttosto ingaggiato, il grado obbl. è meglio avercelo tutto.

Materiale: Corde da 60, indispensabile una serie di friends, 11 rinvii

Via parzialmente attrezzata con fixe inox, Kinobi, soste con 2 fixe, cordino e maillon solo nella parte alta

Si ringrazia www.kinobi.it

Discesa: dalla cimain sei doppietutte le doppie a parte la 3^ e l’ultima è consigliato farle con una corda sola!!!

Dall’ultima sosta fare una calata, da 30m tralasciando la sosta di partenza del tiro.

2^ doppia sul bordo della parete, una sola corda, 30m

3^ doppia da 50m per arrivare alla partenza del 5° tiro

Altre 2 doppie da 30m!!!

Ultima doppia dalla base del diedro sino a terra…60m, poi a piedi per la Normale

Avvicinamento/Attacco:  da Demonte in Valle Stura oppure da CastelMagno in Valle Grana si sale fino al Colle di Valcavera e da qui si scende all’altopiano della Gardetta e si prosegue per la sterrata fino al Colle Margherina, evidente da qui la parete.

Dal parcheggio al Colle Margherina seguire il sentiero per la cengia della Normale

La via attacca sullo zoccolo a Sx di “Correnti Gravitazionali”, scritta alla base e fixe Kinobi a qualche metro da terra.

L1) seguire il bel muro grigio prima utilizzando il diedro di Dx poi diritti. 4 fixe, 5c, 30m

L2) bellissima placca su roccia lavorata sin sotto il tetto. 4 fixe, 5c, 30m (il tiro è abbinabile al seguente)

L3) aggirare a Sx il tetto, spostarsi a Dx alla sosta. 1 fixe, 5b, 15m

Superare il pratone, è presente una sosta a metà su uno sperone grigio, e proseguire sin sotto lo spigolo della parte alta, posto una 20ina di metri a Dx di “31anni e non sentirli”.

Nome alla base

L4) seguire lo spigolo sino al 4° fixe per poi spostarsi sulla parete di destra (consigliabile allungare il 4° e 5° rinviaggio), passare la cengia ed in obliquo alla sosta. 7 fixe, 6a+ expò, 35m

L5) passi difficili ad uscire dalla sosta con runout dal 3° fixe verso sx, poi per muri rossi e gradoni alla sosta. 6 fixe. 6c/6c+, 35m

L6) bellissimo ma corto diedro, 4 fixe. 6a+, 25m

L7) partenza in fessura poi placca/muro, dal 2° fixe conviene spostarsi a Dx, runout sino al fixe successivo, ribaltamento non facile e placca. 4 fixe. 6a+, 25m (i tiri sono unibili)

L8) dalla sosta spostarsi a Sx, fixe con cordino, corto traverso, pochi metri su marciume, e muretto impegnativo, sosta bis…facoltativa, se si allungano i primi 2 fixe la corda non tira. 8 fixe. 6b, 50m

L9) difficili passaggi per andare al primo fixe e superarlo…verso dx, poi più facile ed entrare in un fessurone, fixe all’uscita. 3 fixe. 6c/6c+ poi 6a, 30m

L10) bellissimo muretto giallo, primo fixe alto, dopo il 2° è possibile mettere un friend medio, sosta in cima al pilastro. 2 fixe. 5c/6a, 25m

Le sorprese dell’Orco

In questo caso l’Orco non è verde e non mangia nemmeno i viandanti.

Tutt’al più vi potrà chiedere una tassa in pelle delle mani per il vostro passaggio nei suoi territori.

No, non sto parlando di un orco che per sbarcare il lunario si dedica alla manicure dei turisti ma del nostro orco per eccellenza ( no, non è Sherk): l’orco della Valle dell’Orco!

Come gli umani, anche gli orchi possono attraversare dei periodo di crisi di coppia.

Le liti si sprecano, i piatti volano e il povero Orco esce di casa spesso cercando una maniera per scaricare la tensione accumulata tra le mura domestiche.

Ha provato a sradicare alberi ma si è preso una multa dalla forestale, ha provato a scagliare massi da un lato all’altro della valle ma i carabinieri lo hanno arrestato pensando che fosse un black block in allenamento, ha passato la sera nella taverna del paese a bere ma ha lasciato l’auto in doppia fila e il carro attrezzi l’ha portata via.

Mentre rincasava barcollando al buio attraverso il bosco, senza vederci una cippa perché la pila frontale è rimasta nell’auto, malediceva l’oste della taverna per il suo buon vino.

Tra un’imprecazione e l’altra si reggeva a mala pena in piedi appoggiandosi ai tronchi dei larici.

Sarà stata la stanchezza, forse l’alcool, forse la scarsa cultura di botanica alpina ma decise di appoggiarsi ad un sambuco che, come voi sicuramente saprete, ha qualche difficoltà a sorreggere un Orco di diversi quintali.

PATATRACK!!!!!!

L’Orco si ritrovò a ruzzolare giù per la montagna inviando simpatici appellativi alla moglie, al cielo, alla forestale, ai carabinieri e, soprattutto, a quel dannato esame di botanica alpina passato con un indecente 18!

La caduta  terminò alla base di un salto di grigio gneiss.

Contuso e disorientato l’Orco raccolse le forze rimaste e con un urlo di disperazione tirò un gancio destro alla parete.

La roccia tremò ed una fessura spaccò in due la parete correndo in obliquo.

L’Orco,con suo stupore, provò un senso di calma interiore. Aveva trovato il modo per sfogarsi ed era appena nata la FESSURA DELLA DISPERAZIONE!

Da quel giorno in avanti,quotidianamente, l’Orco si reca alla base di una parete per prenderla a cazzotti.

Lui si sfoga e noi abbiamo sempre nuove fessure da salire!!!

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Durante la primavera e l’estate 2011 con diversi amici ho seguito le tracce dell’Orco cercando le sue fessure.

Non è stato difficile ed i risultati sono stati più che soddisfacenti

In ordine cronologico sono state salite le seguenti  NUOVE linee:

PERCUSSIONI LITICHE: una superba fessura strapiombante ad incastro di dita e mano valutata 7b+/c. Questo monotiro si può annoverare tra le più belle fessure della valle salibili in stile trad  e regala una sequenza di movimenti veramente “ ecceziunali”!

Come arrivarci? 

GERA UNA VOLTA: tra la boscaglia sopra la Fraz. Gera con Fabrizio Berruto ho scovato un tiro molto carino valutato 6b. Si tratta di una fessura ad arco con incastri di mano e dita completamente da proteggere.

Come arrivarci?

LA PULCE D’ACQUA: corta via di fessura composta da 4 lunghezze di corda a piombo sul torrente orco aperta con Emanale Foglia. Le difficoltà date in apertura sono: 6c, 6b,4c,6 a+.

Sulla via sono presenti due spit ed è necessaria una serie di friends doppia fino al numero 2 BD.

Come arrivarci?

MANSUETO: monotiro scoperto aprendo “la pulce d’acqua”. Fessura leggermente appoggiata ad incastro di mano ideale per prendere confidenza con questo genere di arrampicata. 5b

Come arrivarci?

BASTASU U PADRONE: diedro perfetto posto appena a destra di Mansueto con cui ha in comune la sosta.5c

Come arrivarci?

La caccia alle fessure non è terminata,

l’autunno promette bene!!!

Umberto Bado – Guida Alpina

Montenegro… sapore vero!

Dopo più di un anno di attesa e preparativi finalmente siamo partiti.

Facendo scalo a Vienna, il 19 settembre atterriamo a Podgorica, capitale del Montenegro, dove Djuro ci attende con il materiale e con la Lada, il nostro fuoristrada per quest’avvenutura.

Per l’ora di cena raggiungiamo Zabljak, piccola cittadina nel nord del paese.

Ad accoglierci presso l’Mb hotel tre cose:

A: una pioggia torrenziale

B: una bottiglia di niksicko, la buona birra locale

C: un immenso piatto misto di carne

Tolto il punto A le restanti cose ci rimettono quasi del tutto in sesto dopo il viaggio.

Già… il viaggio… ma cosa cavolo ci siamo venuti a fare in Montenegro??

Bella domanda, ma forse è più bella la risposta: a SCALARE!!!! ovvio!

La cosa particolare di questo soggiorno arrampicatorio è che la falesia non esiste, dobbiamo crearla noi.

Con Marco Appino, Aspirante Guida Alpina, abbiamo tempo dieci giorni per chiodare e liberare venti linee sulla stupenda parete calcarea del Pirlitor, posta sulla sinistra idrografica del fiume Tara.

Il giorno successivo nonostante il tempo brutto iniziamo i lavori.

Le prime ad essere create sono sei linee facili, chiodate apposta per i bambini ed i neofiti. Le difficoltà si aggirano sul terzo e quarto grado e percorrono la piccola parete di un caratteristico panettone calcareo.

Con circa 2 giornate di lavoro terminiamo questo settore della falesia e possiamo,finalemente, dedicarci al vero grande progetto: una parete alta circa 40 metri e larga… tanto… ma tanto tanto!

Calcare grigio a tacche e gocce, muri verticali, pance, strapiombi e pure qualche fessura.Una miniera d’oro per i climber!

Il lavoro inizia con un bel “gioco” chiamato disgaggio!

A colpi di palanchino facciamo precipitare tutti i massi e le lame pericolanti che troviamo in parete. Con botti degni di capodanno si schiantano al suolo esplodeno in mille pezzi. Dopo ogni botto un sorriso persiste sui nostri volti, almeno fino a che non troviamo un altro masso a cui dedicarci!

Una volta pulita la parete è incominciata la fase d’individuazione delle possibili linee d’arrampicata.

Posizionando delle soste temporanee  proviamo a salire assicurati dall’alto i tiri scelti segnando con la magnesite i punti in cui collocare gli ancoraggi. Se al termine della lunghezza il tiro pare degno di nota ripassimo i punti di magnesite con il pennarello.

Dopo aver segnato tre o quattro tiri passiamo al fase di perforatura e piazzamento degli ancoraggi con la resina.

Per circa otto giorni la nostra tabella di marcia è stata quella appena descritta, con questi orari:

colazione alle 7 e 30, in falesia per le 8 e 30 e rientro in albergo per le 20 circa.

Nonostante il limite imposto dalle batterie del trapano, gli incontri con serpenti e scorpioni, siamo riusciti a terminare la chiodatura in tempo per concederci 48 ore abbondanti per provare a liberare i tiri.

Su 20 tiri creati, nove sono stati quelli su cui ci siamo dovuti concentrare per la libera. I restanti undici si sono rivelati tutti tra il terzo ed il 6a+.

Avendo poco tempo, si è deciso di dividerci i tiri da liberare e per avere un metro di misura e confronto siamo partiti da due tiri liberati da entrambi.

Sappiamo bene che il grado dovrebbe essere dato sul tiro a vista ma per dare un’ idea di massima sulla difficoltà abbiamo voluto gradare comunque i tiri, anche se sono stati liberati al secondo o terzo giro.

Di seguito un breve resoconto dei tiri liberati:

The murderer: 6c+ liberato da Umberto

Nutellacrazia: 6c Umberto

Selezione all’uscita: 6c Marco

New daddy: 7b Umberto

More pivo more party: 7a+ umberto

Concordia: 7a Marco

Falsa partenza: 6c Marco

Team Buma: 7b+ Umberto

Trip in the night: 6b

e poi…

brodo: 6a

red berries: 5b

Black scorpion: 5c

Snake free: 6a+

Il cetriolo: 5a

Essendo il Montenegro grande come una delle nostre regioni, l’ultima sera ci siamo fatti 2 ore di auto per fare un po’ i turisti. Siamo stati sulla costa Adriatica nella splendida Kotor, una cittadina stretta tra il mare ed i monti.

Concludendo: il Montenegro ha un potenziale roccioso impressionante, il cibo è buono, la gente è ospitale e la birra costa poco!

Umberto Bado

 

 

 

Punta Gnifetti – Cresta Signal

Cresta Signal
Cresta Signal

Questo weekend, io e il Guidonz, Blex e Umby, (in totale quattro istruttori della nostra carissima scuola), ci siamo regaliti una classica tra le classiche, un’ imperdibile e famosa tra le famose.. la cresta Signal alla Punta Gnifetti 4554m (D). Monte Rosa.
Io e Guido è da almeno tre anni che siamo lì lì per farla, poi per un motivo o per l’altro non riusciamo mai a far quadrare tutto, tra impegni, meteo, ferie, neve, ginocchia, qualcosa ci ha sempre impedito di esaudire questo piccolo sogno.
Sì perché la Signal è proprio un sogno, una linea bellissima, una cresta che parte dal fondovalle ed arriva in cima al Monte Rosa facendo da spartiacque tra i versanti Sud ed Est di una tra le montagne più grandiose delle Alpi.
Quando ad Alagna lasci l’auto al parcheggio e guardi in alto, molto in alto, vedi già la tua meta; si trova 3300 metri più in su. Dovrai fare tutto ciò interamente con le tue gambe, e ciò rende la Signal veramente una salita perfetta!
Il primo giorno sali 2400 metri fino al bivacco Resegotti; se vuoi una navetta ti toglie i primi 400 m., ma noi dopo averne accennato l’esistenza in macchina non ne abbiamo più parlato, a ripensarci è curioso, usciti dalla macchina ci siamo semplicemente messi a salire.
Al bivacco abbiamo trovato tanta gente, troppa, così alcuni di noi, dopo le varie code per preparare acqua e cibo, han dovuto persino dormire per terra!
Il secondo giorno invece basta code e confusione, siamo partiti sufficientemente presto (ore 2:30), da essere sicuri di non incontrare anima viva. Umby e Blex in una cordata, io e Guido in un’altra. Dopo pochi minuti, rallentati da qualche problemino tecnico di troppo, io e Guido abbiamo smesso di vedere le frontali dei nostri velocissimi amici, e ci siamo ritrovati soli per il resto della salita. Ogni tanto le preziose tracce di chi ci precedeva ci hanno facilitato la scelta del percorso, ma molto spesso capire dove passare ha rappresentato la difficoltà maggiore, soprattutto nella completa oscurità di una notte senza Luna. Scalare alla luce delle frontali è comunque sempre impegnativo ed emozionante…
e da farsi solo se si è ben lucidi e coscienti di cosa si sta facendo!
La salita fino in vetta ci è costata 5 ore di divertenti fatiche, Marco e Umby ne hanno impiegate 3 e 45…. un tempo che quasi ridicolizza le difficoltà di questo itinerario, che di solito è dato per 6-8 ore….
Tempi a parte la cresta è in ottime condizioni, fantastica, e l’ambiente è tra i più grandiosi che si possano trovare nelle Alpi; non posso che consigliarla a chiunque si senta preparato e in un momento di ottima forma…soprattutto da un punto di vista di dislivello, questo è importante, se no diventa un calvario.
Per il resto una gran via di misto classico, godimento puro!

Pigne d’Arolla – Corso di Alpinismo 2011

A volte ti rimane lì per anni, le stagioni si susseguono e  non riesci a trovare il momento giusto.

Non che manchino i momenti durante l’anno, ma lì si va d’estate o in primavera con gli sci, con la neve ma non troppa, ma neanche troppo poca che poi escono troppi buchi sul ghiacciaio.

Ci vuole bel tempo altrimenti “che si va a fare in quota se poi non si riesce a veder il panorama”, ci vogliono soci giusti, gente che cammini ma che non sia neanche troppo “invasata tecnicamente” che cioè non cerchi solo e sempre il grado, la velocità, la quota……

Finalmente ad inizio luglio tutte queste condizioni si sono materializzate all’interno del percorso didattico che prevede il nostro Corso di Alpinismo e allora……si va.

Destinazione Arolla, val d’Herens, Vallese, Svizzera.

All’arrivo, dopo un viaggio neppure troppo lungo, si gusta subito il vero paesaggio alpino del versante  settentrionale delle Alpi: valli strette e lunghe modellate dagli antichi ghiacciai, cime alte e slanciate che partono dai ghiaioni posti al di sopra di verdissimi pascoli, paesini caratteristici con sullo sfondo grandi cime come la Dent Blanche….

La nostra meta è la Pigne d’Arolla, un quasi 3800 (3790) che svetta alto sulle tormentate morene dei ghiacciai della Piece e di Tsijiore Nouve. Alla sua sinistra il mont Collon, che ci accoglie subito con una bella scarica di seracchi che percorre il suo profondo versante nord…..sì siamo in montagna.

Il nostro itinerario prevede la traversata della montagna da ovest ad est, partendo da Cabane des Dix e scendendo da Cabane des Vignettes. Il pomeriggio quindi è dedicato a raggiungere il rifugio, posto in una valle parallela a quella percorsa per arrivare ad Arolla, sulla sinistra orografica del Glacier de Cheilon a monte del Lac des Dix formato dallo sbarramento dell’enorme diga chiamata Grande Dixence.

Il dislivello non è eccessivo, circa 900 mt per arrivare al Pas de Chevre dal quale si passa sull’altro versante scendendo una ventina di metri per scalette metalliche verticali ancorate alla roccia. Una bella camminata senza fretta, senza coda alla funivia lungo prati e ghiaioni facili che lasciano spazio per far andare la fantasia….Attraversato il ghiacciaio dopo una breve risalita si raggiunge il tipico rifugio svizzero: posizione panoramica con una splendida vista sulla parete nord del Mont Blanc de Cheilon, ben tenuto, pulito, ben gestito e……caro.

La mattina seguente sveglia antelucana come di norma per le salite su neve nelle alpi occidentali; si parte appena albeggia, in modo da poter vedere il migliore percorso sulle morene sassose della parte bassa del ghiacciaio già secco nonostante sia solo l’inizio di luglio. Poi, dopo esserci legati, la salita prende “quota”; i panorami si allargano, attraverso i colli si intravedono le cime circostanti tingersi di rosa, la via prende forma attraverso alcuni crepacci bonari che si fanno intuire facilmente. Arrivati al col de Breney il percorso è chiaro e si ha una stupenda veduta sulla seraccata della parete nord della Pigne e sul Cervino distante qualche chilometro.

In cima spira un forte vento da nord-ovest ma la soddisfazione di essere al centro dell’arco alpino occidentale con un panorama che spazia dal Monte Bianco all’Oberland, dal Gran Paradiso al Monterosa non ha eguali. Nonostante il freddo restiamo un po’ in contemplazione, guardando la maggior parte dei 4000 delle alpi, immaginando prima o poi di salirne qualcuno…

La discesa percorre la via normale da Cabane des Vignettes. Essendo rivolta ad est, nella parte inferiore la neve si sta già ammorbidendo. Si passa velocemente sotto la seraccata posta di fronte al rifugio e poi per il Glacier de la Piece si ritorna a prendere il sentiero che riporta a valle.

Nonostante la cima non raggiunga i 4000, il dislivello di 1800 metri in discesa si fa un po’ sentire ma grazie all’entusiasmo ed all’ottimo allenamento dei nostri 3 allievi Serena, Luca e Vittorio a mezzogiorno siamo tutti alla macchina.

                                                                                              Guglielmo Finello

                                                                                              Roberto Bellardi